“VITTORIO EMANUELE III per Grazia di Dio e per volontà della Nazione RE D’ITALIA
In virtù della delegazione di poteri conferita al Governo con la legge 3 dicembre 1922, n. 1601; Veduta la legge comunale e provinciale, testo unico 4 febbraio 1915, n.148; Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno, Presidente del Consiglio dei Ministri; Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1 - I comuni di Burano e di Murano sono aggregati a quello di Venezia […]
Roma, addì 30 dicembre 1923
VITTORIO EMANUELE III
Mussolini…”
Con questo decreto, datato 30 dicembre 1923, si pose formalmente la parola fine alla secolare autonomia amministrativa e giurisdizionale della Magnifica Comunità di Murano. Già da tempo si tentava la costituzione di un grande Comune urbano, che raggruppasse le varie deputazioni cittadine lagunari e della terraferma veneziana. L'autonomia muranese era tra in odore di estinzione già dal 1877. La fine si poté rinviare solamente di qualche decennio grazie all’intervento accorato e deciso del consiglio municipale del'isola e le argomentazioni contro l’annessione proferite, se non gridate, da illustri cittadini muranesi, tra cui l’abate Vincenzo Zanetti. Argomentazioni ritenute non più valide nei primi anni '20, quando la faccenda venne ripresa in esame e risolta d’imperio: Murano doveva semplicemente essere annessa a Venezia, nonostante il parere negativo unanime della giunta isolana e l’avversione della stragrande maggioranza della popolazione. E’ sintomatico il fatto che l'autonomia comunale sia cessata durante un regime che soppresse libertà anche più importanti di quelle amministrative.
Andiamo comunque con ordine ad esaminare gli accadimenti che immediatamente precedettero e seguirono il decreto soprastante:
L’atto che porta alla unione coatta il comune di Murano a quello di Venezia, da subito avversata dai fieri cittadini muranesi, è comunicato con un telegramma dalla Prefettura di Venezia. Contro l’annessione si verga un appello da parte di tutti gli industriali di Murano, eccezion fatta per due ditte: la Cristalleria Murano e la IVAM, fabbrica il cui proprietario è Libero Vitali, ultimo sindaco della Comunità e, per pochi giorni, Commissario Regio prefettizio. Un giornale satirico dell’epoca, La Foghera, pubblica una vignetta in prima pagina: il commissario di Venezia, prof. Giordano tira, servendosi di una grossa lenza, la riottosa Murano verso l’isola Serenissima. E quando sul giornale viene aperta una delle numerosi parentesi relative a Murano, essa è preceduta da un stemmino schizzato con pochi tratti veloci e recante il consueto galletto, simbolo dell'isola.
I giorni trascorrono inquieti: siamo all’inizio del mese di dicembre del 1923 e, a seguito dello scioglimento del consiglio comunale isolano avvenuto il 29 novembre, si hanno le prime proteste, sfociate in cortei e disordini. Al teatro Piave in Bressagio si tiene un affollatissimo comizio contro lo scioglimento e si inviano telegrammi a “…S.E. Mussolini, S.E. Finzi e S.E. Giuriati…”. Le campane dell'isola fanno sentire la loro voce insistente.
“Agitazione dei Muranesi”, titola la Gazzetta di Venezia, specialmente “…nel ceto operaio…” avverso al Comm. Regio Libero Vitali. Gli isolani gli imputano, probabilmente, anche colpe non sue. Pure le donne scendono in piazza, accanto ai mariti o senza di loro, per manifestare il loro dissenso all’accorpamento e lo fanno in maniera molto focosa, servendosi di fischietti e di ogni strumento atto a fare rumore.
Alcune di loro, addirittura, tentano di sfondare un cordone di polizia posto alla difesa del palazzo dell’ormai ex Municipio, diventando protagoniste di tafferugli. C'è tra le donne qualche contusa e si effettuano fermi. I consorti, udito il tam – tam esterno, lasciano il posto di lavoro nelle fornaci e scendono in strada. Qualche vetraio, che brandisce come arma le pesanti canne da soffio, è prudenzialmente disarmato dagli altri dimostranti prima dello scontro con la forza pubblica che presidia i “punti strategici” dell'isola. Municipio, ponti e campanili sono sotto sorveglianza, almeno in apparenza. Dei baldi giovani, infatti, riescono acrobaticamente ad eludere la vigilanza dei militi. Attraverso i tetti delle case adiacenti il campanile di S. Pietro Martire, infatti, i ragazzi riescono a penetrare nella cella campanaria, praticando un foro sulla parete esterna del campanile e facendo “sonar i batoci”. Gli ordini sono ordini, però. Il campanile è sgomberato, dopo che gli stessi asserragliati aprono la botola che impediva l’accesso alla parte alta della torre. Il campanile di S. Donato è violato dai dimostranti che si arrampicano usando il cavo del parafulmine. Altri scampanii. Nei tumulti susseguenti, cade in acqua un bambino, subito recuperato: per lui brividi di paura e di freddo.
Intanto, al Vitali neo commissario regio alcuni autonomisti consegnano un lungo pezzo di canna vitrea - da cui trarre le famose murrine - con il gallo di Murano, opera dei Moretti. Egli, irato, scaglia il vetro a terra… ed ottiene il miracolo di moltiplicare i galletti e la sua stizza, visti i sorrisi canzonatori dei dimostranti. Anche questo episodio, probabilmente, lo porta alle esasperate dimissioni dal nuovo ruolo, rese pubbliche da un telegramma letto alla popolazione dall’ex assessore Umberto Santi. Dimissioni salutate con piacere dagli autonomisti.
“…Fin i batoci de le campane gera contro de lu, e per cinque giorni el ga resistio impavido contro l’uragan…” recita la didascalia posta sotto una sua caricatura pubblicata su un altro giornale satirico, Sior Tonin Bonagrazia del 15 dicembre. Le proteste, però, non si placano... E’ affissa in alcuni punti della città una ordinanza prefettizia attestante, tra le altre cose, che:
“…E’ VIETATO A MURANO E FRAZIONI QUALSIASI COMIZIO, RIUNIONE ED ASSEMBRAMENTI SUPERIORI A 5 PERSONE ED OGNI SUONO DI CAMPANE CHE NON DIPENDA DA REGOLARE E COSTANTE PRATICA RELIGIOSA. E’ INOLTRE VIETATO A QUALSIASI CITTADINO DI PORTARE IN PUBBLICO ARMI PROPRIE, ANCHE SE MUNITI DI REGOLARE LICENZA…”
Il ministro Giovanni Giuriati, figlio di una Bigaglia muranese, risponde al telegramma inviatogli dal Comitato dei cittadini alcuni giorni prima, esprimendo riserve sul fatto che l’annessione a Venezia debba avvenire forzatamente, non già con l’assenso della cittadinanza: “ …Ad ogni modo sono convinto che unione deve avvenire col voto favorevole muranese non per imposizione stop…”.
Gli animi sembrano calmarsi: “…Attendiamo fidenti venuta E. V… ” risponde Lorenzo Toso a nome del Comitato: come, ahimè, accade spesso, i muranesi si convincono che il "palazzo" a Roma sembra ascoltarli!
Si temono comunque nuovi disordini e si sorvegliano maggiormente i campanili per evitarne l’uso improprio ai dimostranti. Qua e là si espongono tricolori. “Iersera cominciò a prestare servizio d’ordine pubblico a Murano anche una centuria della milizia nazionale” scrive la Gazzetta di Venezia del 7 dicembre 1923. Nei giorni seguenti, calma apparente, interrotta a sprazzi dalle proteste impazienti di attendere risposte.
Il Prefetto, Cav. Di Gran Croce Angelo Pesce, accetta le dimissioni ufficiali di Libero Vitali e nomina Commissario Prefettizio di Murano in sua vece il maggiore in congedo Ettore Duse: c’è aria di coprifuoco.
Una commissione di autonomisti è ricevuta a Venezia da S. E. Giuriati, in visita alla città. Reciproci e costruttivi scambi di vedute. Si torna in isola rasserenati e si ventila l’ipotesi di un referendum. La Foghera ci definisce La repubblica del Goto, non so se per l’amore verso il vino dimostrato da alcuni muranesi o per la lavorazione del vetro che ci rende tuttora famosi nel mondo. Stallo. Nella notte tra sabato 29 dicembre e domenica 30, alcuni giovani penetrano nuovamente nella cella del campanile di S. Pietro Martire arrampicandosi dall’esterno e riescono a suonare a lungo le campane “a morto” e “a stormo”, cioè a martello. Due arrestati tra loro.
La domenica pare scorrere tranquilla, ma un centinaio di giovanotti, verso le 23, vuole ripetere la bravata. All’inizio, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, sembrano voler rinunciare al tentativo di attuare una nuova dimostrazione, ma in seguito riescono a superare di forza lo sbarramento dei pochi militi e cominciano un concerto di protesta dal campanile di S. Donato.
La polizia effettua altri fermi. Al din di S. Donato fa eco il dan del campanile di S. Pietro da cui “…Precedentemente i suonatori avevano ritirato le corde dall’interno facendole penzolare dall’esterno. Nuova sorpresa degli agenti e nuova retata. Da questo momento, vennero pure arrestati quanti non circolavano nelle adiacenze delle chiese. Qualche arresto venne fatto anche di persone che non c’entravano nel fatto e qualcuno proveniente da Venezia allora allora”, come ricorda il Gazzettino del 1 gennaio 1924. Le persone arrestate sono ventitré.
Il Sior Tonin Bonagrazia ci scherza sopra: “Xe inutile! I Muranesi no ghe mola. I veri si xe molai, i va disendo, ma nualtri no…E sona ti che sonarò anca mi! Ghe gera un monte de tosi…campanilisti per ecelenza. Sursum corda! Su per la corda”. Gli arrestati pagano duramente il fio della loro colpa… con una notte in carcere, neanche troppo duro: “…23 mandai a la Giudeca ma i xe stai molai subito dopo: molai come i goti”.
I “botti” che salutano la fine del 1923 e l’inizio del 1924, quindi, sono di natura leggermente diversa dai soliti. Nel frattempo si invia una delegazione a Roma per presentare le aspirazioni isolane nelle stanze che contano. Sembra che essa non ottenga molto successo. Gli eventi precipitano sempre più, le manifestazioni crescono.
Lorenzo Radi invia una lettera al Gazzettino affermando che “…di Muranesi favorevoli all’annessione ve ne è UNO SOLO fra seimila e più cittadini…”. L’industriale muranese termina il suo intervento ricordando i concetti espressi nel telegramma dal ministro Giuriati. La risposta del Gazzettino è involontariamente comica, perlomeno ai nostri giorni, quando le parole sembrano assumere significati diversi: “…Non è neppure concepibile come si possa distruggere un Comune che conta secoli di storia senza che ne siano assenzienti i suoi comunisti…”.
Meno male che i muranesi pagano la loro colpa solo con una notte alla Giudecca: essere definiti comunisti a quei tempi poteva costare di più! Le nostrane Liberty Bells continuano i loro concerti notturni. Anche il campanile della chiesa degli Angeli si unisce al coro.
Si innesta un meccanismo secondo il quale a scampanio corrispondono brevi arresti. Si presidiano i “punti strategici” senza troppa convinzione: i cordoni dei militi sono spesso sfondati. Si alza il livello delle manifestazioni. Si decide di esaltare il simbolo comunale cittadino e di vilipendere quello di Venezia. I muranesi scendono ancora per le strade: uomini e donne manifestano lungo le fondamente l’attaccamento per la propria isola, per la propria libertà. Un folto numero di giovani innalza nottetempo sulla Colonna posta all’imboccatura del Rio dei Vetrai, un gigantesco gallo, la cui struttura portante è formata da cerchi di legno e il rivestimento da “…cartapecora dipinta e coperta di spruzzi vetrei [sic] …” come testimoniato da un cronista del Gazzettino. Si forma un vasto assembramento di persone nel piazzale, che continua ad aumentare al fare del giorno. Il gallo suscita ammirazione ed affetto nei convenuti. L’opera è stata eseguita, con la supervisione del pittore Dino Martens, nella vecchia falegnameria dei Toso Borella che si trova a S. Zuanne dei Batudi. Uno di quei giovani manifestanti - scultori era Giuseppe Del Bon, a cui Vettore Zaniol, molti anni dopo, chiese di fare un disegno del gallo. Giuseppe Del Bon schizzò, probabilmente, anche il momento in cui un milite, inviato con altri a sedare i potenziali disordini, salito su una scala recuperata dalla vicina chiesa, slega la corda metallica che tratteneva la scultura ed abbatte con il calcio del fucile il simbolo dell’indipendenza cittadina. Il gallo si squassa e l’opera di distruzione è completata dai carabinieri e dai militi nazionali che lo riducono in frantumi. Ad uno dei membri delle forze dell’ordine, nell’impeto, si spacca perfino il fucile. Doveva essere molto bello quel gallo con gli occhi di vetro, se anche il cronista del Gazzettino scriveva: “…Nel suo genere un capolavoro…”.
Dovevano amare molto la loro isola quelle persone che manifestarono così aspramente il proprio dissenso verso ciò che ritenevano un arbitrio. Lorenzo Radi continua il suo rapporto epistolare con Il Gazzettino, prendendo la distanze da dimostrazioni troppo accese. Egli esorta così i suoi concittadini ad avere fiducia nelle istituzioni: “Uomini siate e non pecore matte”. Ma torniamo alla cronaca di quei giorni...
Ore 17.30: Gli operai escono dalle fabbriche e si formano spontaneamente colonne di dimostranti. Il campanile di S. Donato è preso d’assalto. Si replica il concerto. Un altro gruppo supera l’esiguo sbarramento di due guardie ed occupa per l’ennesima volta la cella campanaria di S. Pietro. Alle 20, da Venezia sono inviati i rinforzi: quaranta tra carabinieri e polizia.
I dimostranti, circa 700, si dirigono alla Colonna per impedirne lo sbarco; alcuni sono armati di bastoni. Arrivo della forza; tafferugli, contusi, sette arrestati. Tra i feriti, Silvio Cattelan, costretto nei giorni seguenti a portare una vistosa fasciatura per una ferita alla fronte. Rilascio immediato dei fermati per evitare il peggio. Dispersione della folla, fuga per il Rio dei Vetrai. Tutte le lampadine dei fanali vengono distrutte. Una parte delle strade di Murano è al buio. Alcuni “suonatori”, sei per la precisione, sono arrestati. Si erano barricati nel campanile di S. Pietro servendosi di piloni di marmo. I militi, per catturarli, devono arrampicarsi sui tetti delle case adiacenti alla torre. Ne vengono rilasciati due perché minorenni. “Nissun dei nostri in galera!” gridano i manifestanti. Assalto alla caserma isoalna dei carabinieri dove i novelli Fra’ Martini campanari erano stati condotti. Le finestre della stessa in frantumi. Altri diciassette fermi. Alle ore 22 torna la calma. I ventuno arrestati sono condotti in carcere, a Venezia, ammanettati a due a due.
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Mattina: Le donne commentano i fatti della sera prima e alcuni operai disertano il lavoro. Non serve il lievito perché la ribellione monti nuovamente. Il pretesto è il fermo, da parte di una dozzina di carabinieri, di un giovane, tal Guido Mazzega di Giovanni, accusato di danneggiamento di fanali ed ingiurie verso la pubblica autorità. Alle 12, all’uscita degli operai dalle fornaci per la pausa pranzo, nuovi assembramenti ed assalto al campanile di San Donato, presidiato dal solito, sparuto numero di carabinieri. Conquista dell’obbiettivo, contrattacco delle forze dell’ordine. Come la famosa fattoria Haye Sainte a Waterloo, il campanile è perso e riconquistato dalle forze avverse più volte. In prevalenza i dimostranti sono formati da donne. Alle 13 suona la sirena delle Conterie per la ripresa della seconda tranche di lavoro. Pochi operai rispondono all’appello del dovere, molti si uniscono ai rivoltosi. Nuove cariche della polizia, gli autonomisti sono sbaragliati. Fuga precipitosa di uomini e donne dentro il grande stabilimento delle Conterie. Inseguimento da parte dei militi che fermano Aroldo Maddalena di Donato, operaio affilatore, trovato in possesso di un rasoio. Brutta cosa i peli superflui…
I carabinieri rastrellano lo stabilimento a caccia di facinorosi. Trovatone alcuni, non procedono ai fermi per la forte opposizione del dirigente della fabbrica. Frattanto, “…conosciuta l’invasione, gli operai addetti ai forni uscirono armati con i lunghi ferri da vetraio, col vetro caldo attaccato, e si portarono a contatto con la forza pubblica. I carabinieri spianarono i fucili. Fu un momento di panico. Alcune donne svennero…” racconta il Gazzettino. L’episodio è teatralmente raffigurato nella prima pagina del settimanale Illustrazione del Popolo. Fortunatamente, i gendarmi non reagiscono a tanto “infuocato” ardore e si ritirano in buon ordine. Alle 14 tutto si placa. Gli arrestati sono sei. Girano per le strade sempre più buie “…pattuglioni di carabinieri e di militi nazionali…”.
Il Gazzettino pubblica un appello alla calma rivolto ai muranesi dal Patriarca Cardinale La Fontaine, anche in forza del suo ruolo di Abate Commendatario di S. Cipriano di Murano.
La Gazzetta Ufficiale pubblica alfine il decreto tanto bistrattato, in data 18 gennaio. Il primo atto della nuova amministrazione è quello di sostituire il cartello “Municipio di Murano” con quello “Comune di Venezia Ufficio Municipale”. Qualche tempo dopo, il cartello dovrà essere rimpiazzato perché imbrattato nottetempo dai soliti ignoti. Alcuni membri delle forze dell’ordine, coadiuvati dai fascisti, chiedono al parroco di S. Donato, Benedetto Tosi, di rimuovere il gallo metallico posto all’interno della chiesa, essendo ai loro occhi un simbolo di autonomia e, quindi, potenzialmente pericoloso.
Il parroco non asseconda la richiesta.Domenica e lunedì, come nel film “Senso” di Luchino Visconti, appaiono volantini ai teatri Malibran e Goldoni recanti la scritta: “Viva Murano Autonoma!”.
Lorenzo Radi tempesta di lettere il Gazzettino. In una di queste, paragona Murano ad una ragazza che viene costretta dal padre, pur amorevole, a sposare un uomo che non ama.
Il piccolo leone marciano “stilita”, che si erge tuttora lungo il Rio dei vetrai presso il ponte de Mezo, venne gettato in acqua dagli indipendentisti muranesi. Il Gazzettino titola: “I nuovi barbari abbattono il leone”. Esso viene in seguito ripescato e solo nel 1925 ricollocato sulla colonna, quando i tumulti si saranno placati.
Il mese di febbraio del 1924 è ancora molto caldo…e non certo per un effetto serra ante litteram.
I manifestanti approfittano dell’oscurità, causata dal costante infrangimento delle lampade d'illuminazione pubblica, per stampigliare indisturbati, su muri e monumenti cittadini, il simbolo dell’antica indipendenza: il galletto. Le campane continuano a suonare.
Continua il coprifuoco. Si effettuano fermi e richieste di documenti alla gente fermata in strada, quasi si fosse in guerra. Un muranese chiede al Gazzettino: “Siamo in stato d’assedio?”.
A mali estremi, estremi rimedi. La Benemerita taglia le corde delle campane. Per nulla preoccupati, alcuni ragazzi le suonano a stormo. La Foghera del 21 febbraio titola: “I batoci misteriosi”. Trascrivo parte del testo: ”…come Galileo Galilei ga dito un zorno: epur si muove, cussì i cabinieri de Muran dise: epur i sbatocia…”.
Il Gazzettino del 19 febbraio riporta un fatto accaduto due giorni prima: il tentativo mancato di …murare la porta dell’ex Municipio di Murano. L’atto dimostrativo fallisce per l’intervento delle forze dell’ordine. Il gesto più che simbolico era stato concepito in risposta all’atto formale che sarebbe avvenuto il giorno dopo: la consegna dei patrimoni dei Comuni di Murano e di Burano a quello di Venezia. Cose grosse: inseguimenti, fughe a nuoto, fermi. Viene sequestrata una barca con 10 blocchi di cemento, alcuni sacchi di gesso e due cazzuole.
I favorevoli all’annessione sembrano aumentare. In una lettera di “un vero muranese” al Gazzettino, si legge: “…Tutti meno tre sono contro l’annessione…”. Niente male davvero: in tre mesi il consenso all’accorpamento è triplicato. Se la matematica non è un’opinione, in soli 499 anni di scampanii, si avrà la totalità della popolazione favorevole all’unione. Ad ogni modo, le proteste lentamente si placano, i gesti di dissenso divengono sempre più sporadici. I parrocchiani ricomprano le corde “tagliuzzate” delle campane. Ci si arrende, accettando il fatto che Murano è ormai diventata Venezia...
Alcuni tra i numerosi “galli della protesta” stampigliati nell’anonimato di quelle notti sono tuttora distinguibili in diversi punti del Rio dei Vetrai (vedi a fianco, figg. 1 - 8); essi sono eseguiti in pegola (pece nera). Uno di loro (fig. 3), sembra sbeffeggiare il leoncino soprastante e “tuffatore” suo malgrado, proprio dalla colonna ai piedi del Ponte de mezo; qualchuno di questi galletti reca tuttora una scritta sottostante che i coli di pece e le sovraverniciature non riescono a rendere del tutto illeggibile: VOGLIAMO MURANO AUTONOMA.
I muranesi, invece, in quegli anni indossavano spille dorate con il gallo di Murano, simili a quella posta sull'intestazione di questo brano, per dichiarare la loro voglia di autonomia. Proprio Marco Toso Borella (sotto) - mio bisnonno, falegname ed amico fraterno di quel Giuseppe Dal Bon di cui accennavo sopra - ostenta una di queste spille, appuntata sul bavero della sua giacca (nota 1).
Torniamo ai galletti in pece stampigliati lungo il Rio dei Vetrai. Vettore Zaniol mi fece notare che uno di questi pennuti è visibile anche in un muro del palazzo che fu sede, negli anni trenta, della Fabbrica delle Cristallerie di Murano, in fondamenta Manin (fig. 5).
Il pennuto è parzialmente nascosto da un tubo metallico ma, inequivocabilmente, è uno dei gemelli facenti parte la nidiata dei “galli di pegola”. Osservando alcune fotografie e planimetrie dell’epoca, però, si evince che il palazzo in questione fu ultimato parecchio tempo dopo i fatti considerati. Ho provato a risolvere questo piccolo mistero con alcuni annunci sparsi qua e là, oltre al consueto tam – tam innestato con amici e conoscenti. I contatti avuti hanno infine generato una risposta: la più semplice. Sembra che nell’immediato dopoguerra, alcuni autonomisti di area DC avessero replicato lo stampino del ’24 ed avessero eseguito solo pochissimi galletti che si aggiunsero ai precedenti. Successivamente i graffitisti, per ragioni diverse, furono dissuasi dal continuare l’opera di “decorazione”.
Ma questa è un’altra storia…
NOTE
(1) La foto apparteneva proprio a Giuseppe Dal Bon, la cui figlia, Elena me ne fece dono.
L'argomento è maggiormente trattato ed approfondito nei testi e nelle illustrazioni dallo stesso autore nel libro:
Marco Toso Borella, Lo stemma della Magnifica Comunità di Murano ovvero il Giallo del Gallo, Venezia, ASSCUM, 2003.
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