Le origini leggendarie:“…e vennero le nobili famiglie d’Altino…” “…I Muranexi havean la sua arma con un Gallo…” Dando credito a queste Cronache, quindi, lo stemma dovrebbe essere adottato dalla città in una data collocabile tra il V -arrivo dei profughi- ed il IX secolo -adozione dell’arme sostitutiva, avente il bianco leone e le Binde (fig. 3). Ma tale epoca è da intendersi obiettivamente come precoce: più che una vera e propria arma cittadina, gli anni immediatamente precedenti o posteriori al mille potrebbero vedere Murano adottare eventualmente un simbolo, un proto o pseudo – stemma, per così dire, avente come soggetto l’impettito galletto. Le più recenti teorie sull’origine degli stemmi, infatti, hanno sfrondato di remotissimi natali l’arte del Blasone. Sembra che Alessandro Magno, Giulio Cesare e Re Artù, smentendo le ipotesi tardo – medievali e susseguenti, non abbiano avuto molto a che fare con scudi simbolicamente dipinti od insegne familiari specifiche, perlomeno non nella misura in cui si intende oggigiorno, quando l’emblema araldico è riconducibile ad personam. Origini dell’araldica I cavalieri cristiani in Terrasanta si contraddistinsero dapprima colorando diversamente le croci delle loro sopravesti, degli scudi e degli stendardi: esse furono azzurre per gli italiani, dorate e nere per i tedeschi, rosse e quindi bianche per i francesi, bianche e quindi rosse per gli inglesi. Una diversificazione per nazionalità, quindi. Ma la polvere e la frenesia della battaglia, resero questo accorgimento, già insufficiente, ancor più impreciso e non utile, comunque, ad individuare esattamente in battaglia il Cavaliere. Ecco, dunque, prendere piede tra i nobili guerrieri l’abitudine di dipingere sui grandi scudi a forma di mandorla dei simboli di riconoscimento sempre più specifici, sempre più codificati, che evitassero la pericolosa consuetudine di cavalcare a volto scoperto per farsi riconoscere, mentre le frecce sibilavano intorno. Con l’evoluzione della società, gli emblemi aumentarono d’importanza: essi non erano più solo simboli specifici di una carica (come poteva sostanzialmente dirsi, ad esempio, per i sigilli mesopotamici del 2900 – 2300 a. C.), ma individuavano precisamente un personaggio nel suo vivere e nel suo status, oltre che in battaglia. Le immagini araldiche si potrebbero definire come i primi codici fiscali della storia; esse divennero “patrimonio d’immagine” familiare e divennero trasmissibili alle generazioni seguenti. Anteriormente al XII secolo, quindi, non si può parlare di araldica vera e propria. Nel XIII secolo, successivamente alle famiglie nobiliari, gli stemmi furono adottati da ecclesiastici, dalle corporazioni, dalla borghesia, dalle città. Una monografia settecentesca: “La lettera di Filonomo Gerapolitano…” Martino da Canal ed i suoi “…cocs tos vis…” Porta Amorianum Araldi e... creativi Il sigillo di San Donato Il Cornaro pubblicò l’impressione dell’antico sigillo nel suo Ecclesiae Torcellanae... suscitando le ingiustificate ire del buon Filonomo. Come accennato, l’abate sembra più interessato ad insolentire il povero Salmone Casto – Nido (certo, con il nome così anagrammato, bella forza) che a trattare del soggetto inerente la sua monografia in forma di “lettera aperta”. Per fare ciò, egli dichiara falso il regalo che don Anselmo fece al Cornaro e lo fa con dotte argomentazioni inerenti il simbolo araldico e il santo protettore di Murano. Entrambi, infatti, sono presenti nel sigillo che reca altresì una iscrizione così recitante: " + S.DONATE : ORA : P POPULO + S. COIS. MURANI ". I motivi di tanta acredine dissacratoria sembrano non doversi attribuire ad una sorta di bisogno impellente di stabilire quale fosse la verità araldica riconducibile allo stemma isolano o quella agiografica relativa al santo vescovo e alla sua successiva adozione da parte dei muranesi quale loro protettore, ma ad una precedente lite tra il Costadoni e lo stesso Zuffi intercorsa per dirimere questioni giurisdizionali e gerarchiche delle parrocchie muranesi di Santo Stefano e San Donato, su cui il Costadoni fu chiamato a giudicare a scapito della prima, cui apparteneva lo Zuffi. Intendiamoci, però: l’apporto dello Zuffi sull’argomento “Stemma della Comunità”, non è solo di carattere canzonatorio o distruttivo. Come detto, alcuni punti da lui delineati sono meritevoli di approfondimenti successivi. Emergono le prime varianti dello stemma Essa è a colori, a differenza dell’originale. I colori sono stati stesi rispettando i tratteggi – segni araldici convenzionali presenti nell’incisione e ribaditi dalle parole di Filonomo che suggeriscono gallo, serpe e volpe di colore oro su campo azzurro. La cromia esatta dell’arma, comunque, è un aspetto che affronterò diffusamente in seguito; per ora ci basti sapere che, secondo l’arcade muranese, il leone è parte integrante dello stemma. La considerazione sul cosiddetto Veneto Dominio rappresentato dal felino alato non mi trova pienamente concorde, poiché le Oselle Muranesi (le famose medaglie - monete che la città del vetro poteva coniare, condividendo solo con Venezia tale privilegio) presentano il gallo di Murano raramente accoppiato al Leone marciano e, quando accade, lo si vede in completa “indipendenza” da esso (fig. 7). Il gallo, simbolo della comunità,
avvalora il diritto concesso“…ai zitadini de Muran de poder condur un porcho per cadaun zitadin per suo uso senza dazio alcun…” Essa è tuttora visibile presso il Museo Vetrario di Murano. Lo stemma in questione reca solamente il gallo ed è posto al fianco dello scudo del podestà Minio, sotto il leone di San Marco (quindi, un elemento a favore della tesi di Filonomo sul Veneto Dominio) o meglio di quel che resta del felino alato, poiché il simbolo della Serenissima è stato barbaramente deturpato al tempo della prima dominazione francese. Questa lapide è una sorta di spartiacque: cessano le attribuzioni indirette; i Muranexi hanno ultimato il loro compito di antichi possessori dello stemma cittadino, in quanto padri nobili di Murano; d’ora in avanti il gallo sarà l’emblema esclusivo della Magnifica Comunità. Un altro stemma scolpito era quello posto nella parte inferiore di una lapide, sotto l’iscrizione attestante il diritto “…ai zitadini de Muran de poder condur un porcho per cadaun zitadin per suo uso senza dazio alcun...” (fig. 9). L’iscrizione, citata parzialmente, ci permettere di collocare lo stemma in questione in una data precisa: il 1445. Una ulteriore arma con il solo gallo è quella che si trova ai piedi del proemio ed inizio dello Statuto di Murano, miniata nei primi anni del XVI secolo. Essa è del tutto simile (anche negli smalti, dal poco che si vede) allo stemma dei leggendari, eponimi altinati (fig. 10). “…Una stampa in data di Burano 9 Apr. 1848 […] diretta da
alcuni Buranesi ai Fratelli di Murano, richiedente di ritorno il
Bottesello (bottasiol) di Sant’Albano…” Il piccolo orcio ligneo ha una storia che cercherò di riassumere in poche righe. Tradizione vuole che, verso la fine del secolo XI fosse visto miracolosamente galleggiare nelle acque antistanti Burano un sepolcro di marmo, spinto dalla corrente verso la riva. Nessuno degli uomini forzuti e vigorosi accorsi, tuttavia, era riuscito nell’intento di portarlo a terra. Solo con la forza della loro innocenza, alcuni bambini trassero la tomba a riva. Sollevatone il coperchio, i buranelli trovarono all’interno tre corpi ed una tavoletta di marmo rozzamente incisa recante il nome di due Santi: “Albano Vescovo e Orso Diacono uccisi per la fede di Cristo”. Si ipotizzò che il terzo corpo fosse appartenuto a San Domenico Eremita che, secondo tradizione, fu martirizzato assieme agli altri due. L’episodio in questione era illustrato in una pala d’altare tardogotica, oggi perduta. I tre Santi divennero da quel giorno i protettori di Burano ed ogni anno la variopinta isola rinnova il suo amore e la sua devozione verso i propri patroni, con processioni solenni. All’interno del sepolcro marmoreo fu ritrovato anche un orcetto di legno, che si credette usato da S. Albano per riporvi dell’acqua. L’orcetto fu per questo battezzato “Bottazzo de Sant’Alban” e venerato come reliquia. Esso faceva miracolosamente zampillare, senza mai svuotarsi, il vino che i buranelli (o Buranesi, per usare il termine antico) usavano per le sacre celebrazioni. I muranesi, per motivi a me ignoti ed in seguito ipotizzati, vollero la sacra botticella per sé, riuscendo infine a trafugarla, dopo contese e liti. Si narra che i buranelli si fossero vendicati sottraendo, a loro volta, una pantofola appartenente alla statua di S. Nicolò patrono dell’arte del vetro, custodita a Murano. La faida minacciava di degenerare ulteriormente e così il podestà di Murano Carlo Querini decise di porre fine all’affaire “Bottazzo de Sant’Alban”. L’orcetto ligneo venne “…poscia trasportato a Murano, ove per ordine del pretore di questa città fu collocato in una parete della Basilica dei SS. Maria e Donato, ed assicurato con due spranghe di ferro, come lo si vede ancora, con sottopostavi analoga lapide in marmo…” ci dice la Voce di Murano del 9 aprile 1899. “…Intorno la metà del secolo XVI nel rostro Ma perché i Muranesi, nel 1543, dopo aver posto nella loro chiesa la miracolosa e misteriosa botticella, decidono di porre una serpe ed una volpe sullo stemma a far compagnia al gallo? Avendo già illustrato in precedenza alcuni dei significati allegorici rappresentati dal gallo, tratterò ora brevemente dei simbolismi ascrivibili agli altri animali facenti parte lo stemma. Dunque, affrontiamo nuovamente l’argomento “Lo zoo in araldica e suo recondito significato” e prendiamo in considerazione il secondo animale in ordine alfabetico e di apparizione, il serpente. Il serpente: “Volpe - Il solo suo nome richiama subito l’idea dell’astuzia, della doppiezza, dell’inganno…”
Vi possono essere due chiavi di lettura per comprendere questa allegoria. La prima, più semplice ed immediata: la vigilanza sconfigge l’astuzia, la lega e ne ostenta le morte spoglie. L’altra versione vede la furbizia vittoriosa, perché i vanitosi galli si accingono a portare nel pollaio, quale trofeo, la volpe morta solo in apparenza. Essa sarà pronta alla caccia al momento opportuno: l’errore compiuto dai tronfi pennuti decreterà la fine loro e dei loro simili. I moniti scaturenti da questa immagine tuonano: mai fidarsi del male, mai vantarsi di averlo sconfitto senza aver prima duramente lottato. “…Così anche il demonio e le sue opere sono piene di perfidia; chi vuole partecipare delle sue carni, muore. Le sue carni sono queste: lussuria, avarizia, dissolutezza, omicidio. Per questo anche Erode è stato paragonato alla volpe […] Bene dunque ha detto il Fisiologo della volpe”. La volpe, infatti, è da sempre simbolo del Diavolo per via della sua Astuzia, testimoniata anche dalle antiche favole di Esopo e di Fedro e dagli scritti di Raimondo Lullo. Astuzia… E’ mia opinione che la volpe abbia trovato spazio nell’azzurro scudo di Murano, in groppa al gallo, possedendo principalmente, se non esclusivamente, questo significato emblematico. Il fatto che essa sia stata posta sullo stemma dopo la conquista del “Bottazzo” da parte dei Muranesi mi fa credere che esso fosse stato ghermito con l’astuzia, se non con l’inganno: non credo, infatti, che i buranelli si siano lasciati tranquillamente portar via la loro preziosa botticella alla luce del sole. Nonostante gli sforzi e la visione di parecchi documenti, tuttavia, non sono riuscito a ricostruire la modalità effettiva con la quale la reliquia fu trafugata. Non mi ha aiutato nemmeno un manoscritto di Marcello Tommassini, illustre abate muranese che visse nel XIX secolo, dal titolo altisonante: “Il conquisto dell’orcio. Ossia Murano in guerra con Burano”, custodito nella Biblioteca Marciana (nota 3). Trattasi di un poema in dieci canti, a mio parere incompleto, con rimandi all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e più ancora alla Secchia Rapita di Alessandro Tassoni. Con quest’ultimo poema eroicomico, il lavoro del Tommassini sembra in parte condividere anche il soggetto del titolo, che diviene in entrambi il casus belli tra due città rivali: Modena e Bologna come Murano e Burano, quindi. Ho perciò sfrondato l’epico racconto dalle robuste fantasie poetiche, alla ricerca di un pur debole ma concreto raziocinio: via le flotte da battaglia muranesi e buranelle, i draghi immaginari e i troppo improbabili leopardi, le singolari tenzoni, i nani, i maghi. Alla fine, non mi è rimasto alcunché di tangibile. Altro che Iliade, altro che collina di Hissarlik, altro che auliche esagerazioni di fatti reali: ultimato il poema del Tommassini e privandolo degli elementi fantastici, non sarei nemmeno in grado di indicare dove si trovi attualmente Burano. Allora, come e perché trafugarono l’orcetto i muranesi? Non vorrei disturbare Ulisse ed il suo cavallo, ma sospetto che sia accaduto qualcosa di simile anche nel XVI secolo (dopo tanti poemi, un epico rimando). Credo che i nostri antenati avessero voluto simboleggiare proprio questa loro astuzia, paragonabile solo a quella di Odisseo, scegliendo per il loro stemma l’animale più luciferino e furbo di tutti: la volpe. Ripensandoci, forse i versi del Tommassini non sono del tutto inutili per le mie congetture. Ne rileggo un brano: " …e cagion era stata alle contese / Un orcio reo, che con ossequio finto / Da Buran s’adorava e si uccidea / Quale estraneo a sprezzarlo si facea…". Dunque, dai versi, si intravede un perché: il poema lascia trasparire una sorta di idolatria professata dai buranelli nei confronti del Bottasiol. Certo, il poema è posteriore all’accaduto di tre secoli, ma l’epica è spesso una conseguenza poetica della tradizione popolare che ha memoria lunga e ancor più lunghe radici. Probabilmente, a parere degli antichi muranesi, il Male stava distorcendo il rispetto per una reliquia trasformandolo in adorazione grottesca. La vigilanza del gallo, della virtù, doveva estirpare il male strisciante alla radice: doveva togliere la reliquia dalle grinfie dei suoi manipolatori e dalle preghiere dei suoi incolpevoli adoratori e metterla al sicuro, in un luogo sacro. Solo così il Bene virtuoso ed attento avrebbe vinto sul demonio, sul serpente. Più semplicemente, è probabile che i muranesi non credessero al miracoloso e continuo riempimento della botticella, magari ostentato un po’ troppo dai rivali buranelli: i nostri antenati lo ritenevano frutto di un imbroglio malefico. Avrebbero provveduto i muranesi stessi, quindi, ad accertare la veridicità del prodigio. Se davvero la botte zampillava incessantemente a Burano, lo avrebbe fatto anche a Murano. Peccato, però, che essa cessasse il miracoloso flusso non appena arrivata all’isola del vetro. Lo Zanetti, più di trecento anni dopo, nella sua guida sulla Basilica dei Santi Maria e Donato, così annotava: " …Nel disfacimento fatto nel 1866 della muraglia ove il suddetto vase [sic] esisteva da tre secoli, si dovette levarlo e per ciò l’abbiamo potuto esaminare con ogni diligenza. Dall’esame fatto non risultò alcun indizio che potesse provare aver servito a contenere il suddetto liquido [il vino]…". E’ mia opinione che la volpe e la serpe rappresentino, rispettivamente, il come ed il perché i muranesi trafugarono il “Bottazzo de sant’Alban”. Per un cinquantennio, il nuovo stemma così concepito divenne il prototipo di alcuni altri recanti le stesse caratteristiche, probabilmente sulla scia dell’impresa. L’abate Zuffi ci testimonia l’esistenza di almeno due emblemi di questo tipo. Uno di essi “…ove il gallo, oltre alla serpe, da corrente volpetta sormontato si vede…” faceva mostra di sé “…sulla facciata del moderno Pretorio…”. Di quest’arme, purtroppo, non ho trovato alcuna traccia, alla pari di un altro stemma dipinto che si trovava in “… un libro a penna in carta pecora [che] mi mostrò il Cancelliere scritto l’anno 1605…”, il cosiddetto Libro d’Oro di Murano. L’emblema cittadino posto sul prezioso elenco era verosimilmente scomparso nei primi anni dell’ottocento, quando il libro fu restaurato e privato della preziosa legatura probabilmente in velluto cremisi con fregi d’argento che aveva. Come detto, non rimane traccia di altre armi coeve od immediatamente posteriori, aventi le medesime peculiarità (gallo con serpe e volpe) dello stemma posto accanto all’ormai famigerato orcetto di legno. L’unica eccezione, l’unico altro esemplare “completo” rimastoci, eseguito antecedentemente al XIX secolo, è la scultura in metallo dorato, posta anch’essa all’interno della Chiesa dei SS. Maria e Donato (fig.14). Le sue caratteristiche (il corpo del gallo è attraversato da due fori posti sul ventre e sul dorso e da un terzo orifizio sul collo), mi fanno pensare ad un uso originario diverso da quello “di rappresentanza” che ricopre attualmente: poteva trattarsi di un gallo segnavento a cui furono aggiunti, in un secondo momento, “…gli accidenti della serpe e della volpetta…”. Il buon Filonomo cita anche versioni differenti dello stemma, “incomplete”: “…parecchi ne vidi col gallo avente nel rostro una serpe, che all’ingiù attortigliata ne scende...”. Sembra riferirsi, tra le altre, all’arme scolpita attualmente posta sulla parete della scalinata del Museo Vetrario (fig.15). In essa appare il gallo con in becco la sola serpe, tenuta per la coda. Nessun animale sul dorso. Questa versione “parziale” dello stemma è quella che appare in codici manoscritti, pubblicazioni e documenti dei secoli XVI, XVII e XVIII, dove la volpe brilla per la sua assenza. Viene da chiedersi il motivo di questa “latitanza”. Prima di tutto, presumo che lo stemma del 1543 fosse un’arma “una tantum”, atta a simboleggiare, come ampiamente esposto, il motivo per cui ed il modo con cui il “Bottazzo” fu conquistato. Essa influenzò pochi esemplari di nuova fattura, fino ad un veloce esaurimento della spinta ispiratrice. Seconda premessa: ritengo che il valore, la virtù, il bene non debbano necessariamente essere anche astuti, anzi. Il nobile d’animo butta il cuore oltre l’ostacolo, mostrando il petto al nemico, apertamente, ingenuamente, senza sotterfugi. Diciamolo: l’astuta volpe avente quel significato così enigmatico, diabolico, era un accessorio araldico di cui i Muranesi potevano tranquillamente fare a meno. Il serpente imbeccato, invece, poteva aumentare il valore della Vigilanza. Il gallo vittorioso, che trionfava lealmente contro il simbolo del Male, era sempre più nobile e valoroso di quello solitario che, imbelle, si stagliava sul campo dell’antico scudo. Ad ulteriore riprova di quanto asserito, vi è il fatto che nelle più di cento Oselle muranesi conosciute (tutte coniate dopo il 1543), la quasi totalità di esse presenti il gallo recante la serpe nel becco, e solo una decina di monete (emesse nella seconda metà del XVIII secolo) veda coniata sul dorso del pennuto anche la volpe. Trovo significativo il fatto che la piccola fiera abbia fatto nuovamente capolino, abbarbicata al pennuto dei Muranesi, quasi duecento anni dopo la prima apparizione, quando i fumi dell’oblio avevano fatto dimenticare, come una sorta di damnatio memoriae, il suo probabile, primitivo ed ambiguo significato simbolico. Lo scaltro animale ne assumerà un altro più “di facciata”: come vedremo, infatti, la semplice e diretta volpe acuta subentrerà nell’immaginario collettivo alla contorta e mefistofelica volpe astuta.Comunque sia, lo stemma di Murano si rappresentò principalmente nella versione “monca”, con la sola serpe, fino al tramonto della Dominante. “ …Aux armes, citoyens, formez vos bataillons! _ Sotto la successiva dominazione austriaca, fino al 1846, al posto dell’antico simbolo della Muran Podestaria veniva posto sui documenti del Comune, un anonimo sigillo ovale con le semplici parole Deputazione Comunale di Murano. Non era certo per spregio verso l’isola o per motivazioni inerenti l’ordine pubblico che l’impero asburgico non permetteva a Murano di poter far uso dell’antico suo stemma. Semplicemente, esso non era stato approvato o ufficialmente codificato dalle autorità competenti, invero molto precise. Effettivamente, nei secoli precedenti, non era mai esistito un “brevetto ufficiale” che mostrasse, delineandolo con precisione, lo stemma di Murano nella sua completezza: occorreva quindi istituire un lungo iter burocratico con le autorità asburgiche per riavere il diritto di potersi fregiare dell’antico emblema. Vedremo, però, che una catena di piccole inesattezze avrebbe alfine portato ad uno stravolgimento cromatico e simbolico dell’arma appartenente alla Magnifica Comunità. Il 1820 segna ufficialmente la resurrezione e l’inizio della metamorfosi cromatica del nostro galletto. Contemporaneamente, prendono vigore alcune teorie sui simbolismi riconducibili alla serpe e alla volpe. Un passo indietro: il primo tassello è uno scambio epistolare intercorso tra l’erudito veneziano Giorgio Casarini e il già incontrato Matteo Fanello. Il Casarini doveva “…fare dettagliato rapporto alla Superiorità …” sul significato, sugli smalti e sulla storia dello stemma isolano e chiese lumi dirimenti al Fanello. Il prelato Muranese si comportò come Gertrude, la monaca di manzoniana memoria, che “…sventurata rispose…”. Siamo sotto la dominazione austriaca e la “Superiorità” alla quale doveva essere inviato il dettagliato rapporto in questione era la Commissione Araldica che fu istituita dal Governo nel dicembre 1815, allo scopo di vagliare ed eventualmente riconoscere i titoli nobiliari, le armi cittadine e dei consigli dell’antico Stato veneto. Sostanzialmente il Fanello risponde al Casarini in questi termini, che trascrivo da un riassunto di Emmanuele Antonio Cicogna scritto nelle sue Inscrizioni Veneziane, volume VI, p. 513: “…venute, dopo il saccheggio di Altino, a rifuggiarsi in quest’isola varie famiglie, fralle quali le due ricche, Murani e Muraneschi, queste fecero edificare e diedero all’isola il nome Murano non solamente, ma eziandio il proprio stemma il quale era un Gallo coronato d’argento con i piedi vermigli in campo azzurro, colori ce si sono sempre dappoi conservati […]. L’aggiunta all’antico Gallo,(cioè d’una serpe attortigliata al rostro di esso, e di una volpetta d’oro in atto di correre collocata sul dorso dello stesso Gallo) fu fatta nel secolo decimosesto; dice [il Fanello] però di non averne trovato decreto apposito”. Il buon arciprete, stando alle parole del Cicogna, si spinge oltre: egli congettura anche che i tre animali simboleggino la prudenza (il serpente), l’acutezza (la volpe) e la vigilanza (il gallo), doti possedute dai Muranesi ed applicate, in particolare, nell’arte vetraria. Un bell’inizio… Fanello non fa altro che ripetere, con la piccola aggiunta dell’aggettivo “coronato”, quanto già scritto in precedenza in due lavori, uno pubblicato nel 1797, l’altro nel 1816. In entrambe le opere, descrivendo il Gallo dell’arma di Murano, lo diceva recante una fantomatica “…cresta d’argento…”. Vorrei far notare la mancanza di un non trascurabile dettaglio: l’erudito muranese non ci tramanda in nessuno dei suoi scritti il colore del piumaggio del gallo, preoccupandosi solo, quando afferma “…coronato d’argento…”, di notificare la cromia e la forma della sua cresta. Cresta divenuta addirittura un reale ornamento. Inutile che io ammetta di non sapere da dove il Fanello abbia tratto la sua incompleta descrizione dei colori relativi al gallo muranese, come è inutile che io ribadisca quanto la giudichi a dir poco azzardata, poiché non supportata da adeguati documenti. Sui significati simbolici attribuiti agli animali facenti parte lo stemma, poi, noto una prima discrepanza relativa al gallo e alla sua vigilanza applicata “…nell’arte vetraria al sommo dilatata per le molteplici e pellegrine invenzioni…”. Cosa c’entrano i nobili altinati Muranexi, che nel V secolo avrebbero ceduto lo stemma all’isola (stando alle stesse parole del prelato), con l’arte del vetro? Murano divenne ufficialmente sede “acuta, prudente e vigilante” delle alchimie vetrarie solo verso la fine del XIII secolo, otto secoli dopo l’insediamento degli altinati che gestirono, invece, “…molini e saline…”. Certo, v’erano vetrerie a Murano anche prima del 1291, ma esse non erano patrimonio specifico dell’isola, quindi lo stemma non poteva appalesare già nel V secolo la vigilanza sui privilegi, sulle invenzioni e sulle conoscenze precipue riconducibili al vetro, che solo nei secoli successivi sarebbero divenute esclusivamente muranesi. Quindi, anche relativamente all’imbeccato serpente prudente ed alla volpe acuta, respingo con decisione tali attribuzioni simboliche, rimandando a quanto scritto in precedenza. Altra inesattezza che ci fa comprendere il livello di attendibilità dell’abate Fanello, perlomeno nel campo araldico: egli cita un passaggio da un lavoro settecentesco del Salmon intitolato Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo. Ecco cosa ci tramanda l’abate relativamente allo stemma, virgolettando ogni parola come fosse una copia fedele dell’originale: “…un Gallo sormontato da una Volpetta in atto di correre, con una Serpe attortigliata nel rostro…”. Tutto molto corretto se non fosse per il fatto che il Salmon non citi affatto alcuna Volpetta nelle sue pagine. Ecco il passaggio originale: “…e la Comunità fra gli altri Privilegj concedutigli dalla Pubblica Clemenza gode quello di battere ciaschedun anno nella Cecca di Venezia certa moneta detta Osella coll’arme del Doge, del Podestà, e del Camerlengo da un lato, e dall’altro coll’impresa della Comunità, che è un gallo colla serpe nel rostro”. Della piccola fiera, nemmeno l’ombra. Con questi presupposti, la “…Ecc. Commissione Araldica…” emette “…venerato Decreto…” e “…Delegatizia Ordinanza…” indirizzate alla Deputazione muranese,allo scopo di ottenere lumi sul possesso dello stemma da parte della Comunità e su eventuali documenti ufficiali ad esso inerenti. Lo scambio epistolare e gli scritti del Fanello innescano, dunque un effetto domino: 1830 - 1844: le pratiche riprendono vigore e, a seguito di nuove richieste di chiarimenti da parte del governo imperiale, vengono ribaditi dalla Deputazione più volte gli accadimenti già riferiti in precedenza, come testimoniato dai verbali di seduta, alcuni dei quali custoditi nell'Archivio Storico del Comune di Venezia (nota 4). Vengono citati come "pezze d'appoggio" documenti che ho potuto in gran parte visionare e dei quali ho già trattato precedentemente. Dalle prove esaminate, si evince che il gallo, a differenza di quanto asserito nei verbali di seduta, non è mai sormontato da una “corona o cresta d’argento”. In una trascrizione redatta dai deputati muranesi vi sono anche alcune imprecisioni storiche, alcune “utili” omissioni e distrazioni che io ritengo mirate a “modificare” a proprio favore la realtà: dichiarare che " …nel 1502 furono regolate le Leggi patrie, ed in seguito fu regolato pure lo stemma dipingendo sopra campo azzurro un Gallo sormontato da una volpetta d’oro con una serpe attortigliata nel rostro…" significa implicitamente effettuare una retrodatazione di quasi cinquant’anni della comparsa dello stemma “completo” (che avvenne, come sappiamo, nel 1543). Quindi, un lifting invecchiante, alla rovescia.
Di conseguenza, ritengo che alcuni passi del documento in questione siano una sorta di utile campagna propagandistica dal nobile fine: presentare una storia più affascinante, maggiormente carica di vetusti onori e di prestigio di quanto non lo fosse in realtà, allo scopo di ottenere maggiori privilegi e riconoscimenti dalla nuova autorità costituita.
In un altro verbale redatto dai rappresentanti comunali dell’isola il 16 settembre 1844, così si ribadisce: “…Lo stemma di Murano esprime la prudenza, l’acutezza e la vigilanza dei cittadini in particolare per la scoperta, miglioramento e conservazione del segreto per la fabbricazione della canna, smalti etc. ..[una parola illeggibile]… unica in tutto il mondo onorata e protetta con speciali concessioni e privilegi…”. Questa roboante descrizione è inviata, con altri allegati, alla I. R. Cancelleria Aulica di Vienna allo scopo di rafforzare e motivare ulteriormente le precedenti richieste di poter nuovamente usare l’antico stemma comunale, oramai da troppo tempo caduto in disuso. La supplica era corredata di: Quest’arma dipinta fu ispirata dallo stemma inciso sul frontespizio dell’opera dello Zuffi: “Lettera di Filonomo…”, ma la versione inviata a Vienna non comprende però il leone abbrancante e presenta un errore troppo palese per essere involontario: i colori del gallo e della serpe non sono quelli stabiliti da Filonomo. Invece di porre correttamente l’oro sui tre animali facenti parte lo stemma (nell’incisione, in bianco e nero, il metallo è reso grazie alla maniera consueta di rappresentazione araldica: le tre bestiole sono ricoperte da fitti puntini), si dipinge la serpe di verde, il gallo di nero e si mette in capo ad esso una cresta d’argento, secondo i dettami del Fanello. Colore troppo osé anche per il pittore incaricato di dipingere questa sorta di specimen; l’artista, infatti, colorò bargigli e cresta (ripeto: cresta, non corona) di rosso, correggendo a penna (scrisse argento, segnando con una freccia le escrescenze) l’indicazione cromatica errata. Si completa l’opera facendo sostenere il gallo da un praticello (che in terminologia araldica prende il nome di “ristretto”) posto sotto una zampa del pennuto. A proposito: sin dalla prima Osella conosciuta (1581) convivono, nelle varie rappresentazioni dell’arma, due maniere di effigiare le zampe del gallo. In alcuni casi, esse sono entrambe ben piantate a terra; in altri casi, come questo, si può vederne una alzata, mentre l’altra poggia sul terreno. Questa seconda versione fa definire araldicamente il gallo ardito. 1845: la decisione tanto attesa infine arriva: “ Vienna, 20 aprile 1845[…] Dall’I. R. Cancelleria Aulica Riunita. Sua Maestà Imperiale Reale con veneratifirma Sovrana Risoluzione 15 corrente Si è degnata di accordare in via di grazia alla Comune di Murano, Provincia di Venezia, di poter far uso dell’antico suo stemma…” (nota 5). 7 luglio 1846: viene inviato un dispaccio dalla capitale austriaca, contenente il brevetto ufficiale di concessione all’uso dell’antico stemma, il disegno dell’arma a colori e quello del sigillo comunale. Il brevetto e i disegni vengono registrati presso l'ufficio comunale competente. I solerti funzionari austriaci ottocenteschi hanno rispettato pienamente i desiderata araldici dei nostri antenati. Il gallo è nero ed ardito, la cresta risplende argentata, la serpe è verde, la volpetta è d’oro ed un bel prato è cresciuto ai piedi dello scudo (figg. 19 e 20). _ 21 settembre 1846: la Deputazione festante accoglie la concessione imperiale di potersi nuovamente fregiare dell’antica arma. Lo stemma, nuovamente ottenuto, viene così reso visibile alla cittadinanza in varie forme ed occasioni ed accompagnerà i muranesi fino all’unione all’Italia sabauda ed oltre. 17 luglio 1876, Regno d’Italia. A seguito di precisa richiesta di chiarimenti riguardanti lo stemma di Murano (effettuata dalla R. Prefettura di Venezia e datata 16 giugno), ecco come il sindaco dell’epoca, Antonio Colleoni, descrive l’arma cittadina e la sua evoluzione, facendo precedere il tutto dalla leggenda dei Muranexi che cedettero all’isola il proprio emblema (e che noi conosciamo troppo bene per ripetere ulteriormente): “…Lo stemma originario [che si fa risalire al V secolo] consisteva in uno scudo portante in campo azzurro un Gallo nero, con cresta in forma di corona d’argento, con brandolino [penso si intendano i bargigli] pure d’argento e con piedi vermigli. Fino alla metà del secolo XVI non ha subito alcuna variazione. Dopo quest’epoca andò soggetto a qualche modificazione poiché nel rostro del gallo venne apposta una serpe verde attortigliata e sul dorso una volpicina d’oro in atto di correre. Sembra che tali aggiunte siano state introdotte per indurre nel senso simbolico la vigilanza, la prudenza, e l’acutezza dei muranesi specialmente nel conservare e far progredire l’industria vetraria…” (nota 6). Anche in questo piccolo resoconto storico si afferma che l’esemplare più antico del nuovo stemma così concepito sia quello posto accanto all’ormai celeberrimo Bottazzo. Dopo avere svolto il breve excursus storico relativo all’arme, si fa menzione anche alla trafila burocratica intercorsa con il governo asburgico, citando i dispacci e la Sovrana Risoluzione del 15 aprile 1845. Accluso alla lettera vi è un disegno a colori dello stemma, tale e quale a quello stabilito dall’imperial brevetto del ’46. Faccio notare alcune cose in merito alla lettera precedentemente esaminata: il Colleoni ritiene doveroso affermare che il piumaggio del gallo è, fin dall’origine, di color nero. Sempre secondo il sindaco, il pennuto è corredato da tempi immemorabili di “ cresta in forma di corona d’argento”. Entrambe le asserzioni sono inesatte. 1902: ulteriore cronistoria dello stemma di Murano effettuata da Silvio Bonmartini nel Supplemento Mensile del Secolo,“Le cento città d’Italia” del 31 agosto 1902 : “ …Esso è costituito da un gallo nero coronato d’argento coi piedi vermigli in campo azzurro. Verso la metà del secolo XVI nel rostro del gallo si aggiunse una serpe attortigliata e sul dorso del gallo una volpe in atto di correre. Qualcuno vuole tali modificazioni sian fatte per indicare la potenza e la sagacia dei muranesi …Più tardi sopra lo stemma del comune veniva collocato il leone veneto quasi in segno di padronanza e di protezione…”. Mi sembra sufficiente. Pongo fine al domino virtuale finora giocato e dò un colpetto alla prima tesserina: le affermazioni del Fanello sullo stemma di Murano proferite nel 1815: Gallo coronato d’argento…Prudenza, Sagacia…. A mio parere, resoconti non esatti, scorretti. Quindi, giù! Un disastro, una valanga: verbali, domande, suppliche, risposte, brevetti, veneratifirme, articoli di giornale…tutto abbattuto. Intendiamoci: ormai la storia non si può riscrivere ed anch’io accetto il fatto che il mio, il nostro galletto sia oramai nero e “coronato d’argento”, anche se esso è sempre stato d'oro o d'argento! Ma, alla luce di questa sequenza esponenzialmente errata, viene da chiedersi come e perché siano scaturite le prime inesattezze che, reiterate, hanno portato allo stravolgimento finale dell’arme appartenente alla Comunità muranese. “Ibis, redibis non morieris in bello” Nelle bandiere e nei gonfaloni della Provincia di Venezia, eseguiti nel secondo dopoguerra e alla fine degli anni ’80, lo stemma avente il leone in “moleca”, è contornato dalle armi di molti comuni del circondario veneziano, tra i quali quello di Murano, anche se esso risulta soppresso da decenni. Una contraddizione attuata in ossequio, probabilmente, alle origini “…antiche e gloriose…” della nostra municipalità. Gli stemmi in questione sono rispondenti alla versione “ottocentesca”, ma il gallo ostenta una sgargiante e più realistica cresta rossa. Una delle poche eccezioni a questo proliferar di “galletti disimpegnati”, comunque, è rappresentato dal movimento cittadino Muran Nova, che assurse l’antico stemma a proprio simbolo negli anni ’60, dando ad esso nuova linfa vitale. Gli stendardi posti in bella vista sulla peata ancorata all’esterno della scuola Ugo Foscolo (e trasformata in sede di voto dal consiglio direttivo dell’associazione) ostentano un gallo, accompagnato naturalmente dagli inseparabili compagni serpe e volpe, tracciato in uno stile guizzante ed armonioso, tipico del grande Anzolo Fuga. A questo primo passo, seguiranno la riedizione della Voce di Murano e tante iniziative volte ad esaltare l'autonomia della nostra isola e dei suoi abitanti. Ricordandoci che Murano, come il suo stemma, saranno sempre parte di noi... Note (1) Biblioteca Nazionale Marciana Venezia, (B.N.M.V.), Ms. It.VII, 28 (=7595), Cronaca delle famiglie nobili venete, sec. XVII, c.155v. Per ulteriori approfondimenti ed informazioni: Marco Toso Borella, Lo stemma della Magnifica Comunità di Murano ovvero il Giallo del Gallo SILVESTRO ZUFFI, info@isolainvisibile.it
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